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sabato 31 gennaio 2015

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Epatite C, a breve in commercio in Italia il 'super-farmaco'

Epatite C, a breve in commercio in Italia il 'super-farmaco' che la cura

IL 'super-farmaco' Sovaldi (sofosbuvir) contro l'epatite C, già approvato e in grado di eradicare la malattia in tre mesi, è pronto per essere messo in commercio. Si attende solo la prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della determina di autorizzazione alla rimborsabilità con la quale sarà contestualmente chiuso il programma di uso compassionevole, precedentemente attivato al fine di assicurare ai pazienti affetti da epatite cronica C con malattia avanzata l'accesso rapido e gratuito a tale terapia.

La svolta è arrivata quest'anno, quando il farmaco è stato messo a disposizione negli Usa: i risultati, illustrati a Londra, hanno mostrato che questo farmaco è in grado di guarire il 96-100% dei casi a seconda del ceppo virale, effetti collaterali rari e lievi. La cura consiste in una pillola al giorno per 2-3 mesi e non più anni di flebo sotto osservazione medica. Resta però il problema del costo: 84.000 dollari per ciclo di cura, circa mille euro a pillola, un problema per tutti i sistemi sanitari nazionali. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha tuttavia annunciato che l'Italia è pronta a farsi carico del costo del farmaco con la creazione di un fondo ad hoc nell'ambito del piano nazionale contro le epatiti. 

L'Agenzia italiana per il farmaco (Aifa) precisa di aver raccolto al tempo stesso la disponibilità del titolare dell'autorizzazione in commercio di Sovaldi (Gilead Sciences) a garantire la fornitura gratuita del farmaco per l'intera durata di trattamento dei pazienti per i quali le richieste ed approvazioni, da parte dei Comitati Etici competenti, siano state rilasciate in tempi utili. Il termine ultimo per i centri richiedenti per inviare le approvazioni ed eventuali informazioni mancanti relative a richieste presentate prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è il 15 dicembre 2014.

L'Aifa ha comunicato anche che il numero di richieste totali nazionali di trattamento ha raggiunto, al 28 novembre, il valore di 1.431, mentre quello dei trattamenti approvati è 894, pari ad appena il 62,5% delle richieste. Permangono disomogeneità regionali sul numero di trattamenti approvati: si passa da una percentuale dell'84,9% dei trattamenti approvati (sul totale delle richieste regionali) in Piemonte al 28,6% della Liguria o al 36,8% registrato in Sicilia. 

Le richieste non approvate dai Comitati Etici in tempi utili non saranno più erogabili nell'ambito del programma di accesso gratuito ed il costo di trattamento derivante sarà, pertanto, a carico delle relative strutture sanitarie. La fornitura del farmaco verrà garantita per i pazienti inclusi nel programma fino al completamento del trattamento previsto (48 settimane o fino al trapianto per i pazienti pre-trapianto, 24 settimane per i pazienti in post-trapianto). 



Modalità di contagio

Il contagio dell’infezione da HCV avviene principalmente per via parenterale, cioè attraverso il sangue, e molto meno frequentemente per via sessuale.
L’infezione si trasmette preferenzialmente per via orizzontale, da individuo a individuo, e in minor misura, con una frequenza del 3-5%, per via verticale-perinatale, cioè da madre a figlio; tale percentuale aumenta considerevolmente nel caso di madri portatrici anche del virus dell’immunodeficienza umana (HIV), raggiungendo tassi del 15-25%.
La via parenterale
E’ la via preferenziale di trasmissione dell’HCV.

I principali mezzi di contagio di sangue infetto sono:
 Aghi e siringhe riutilizzabili per iniezioni intramuscolari ed endovenose di farmaci e droghe. Il rischio di contrarre l’infezione attraverso questa modalità è oggi diminuita in occidente grazie all’utilizzo di materiale monouso e di procedure di sterilizzazione, soprattutto a livello sanitario-ospedaliero, ma sussiste ancora nei paesi in via di sviluppo.

In generale il rischio è molto alto tra i tossicodipendenti che fanno uso di droghe per via endovenosa, in cui l’incidenza di infezione da HCV oscilla dal 50 al 95%: in Europa e negli Stati Uniti la tossicodipendenza è il principale fattore di rischio per l’epatite C.

• Trasfusioni di sangue e di plasma-emoderivati.
Hanno rappresentato il fattore di rischio prevalente per la diffusione dell’HCV negli anni antecedenti il 1990, prima cioè che fosse introdotto lo screening obbligatorio del sangue basato sulla ricerca degli anticorpi anti-HCV.

Oggi grazie all’impiego di test sempre più sensibili e a un più scrupoloso reclutamento dei donatori, il tasso di incidenza di epatite C associato alle trasfusioni si è quasi azzerato nei Paesi occidentali (< 0,9%), ma resta alto nelle nazioni in via di sviluppo, per le quali le trasfusioni rappresentano attualmente il principale mezzo di contagio.
• Strumenti con cui vengono praticati il piercing, i tatuaggi, l’agopuntura, interventi odontoiatrici e endoscopie, e in generale tutti gli oggetti - di uso sanitario o domestico - che possono procurare ferite anche lievi, quali forbici, rasoi, spazzolini e tagliaunghie, e che, se non opportunamente sterilizzati, possono fungere da vettori di infezione.

La via sessuale
E’ la modalità meno frequente di diffusione dell’HCV, con un numero di casi inferiore al 5%.
Tuttavia esistono situazioni che possono aumentare tale rischio:
a) la malattia epatica in fase acuta;
b) un’attività sessuale promiscua (tale pratica espone i soggetti al rischio di contrarre malattie veneree le cui lesioni cutanee possono costituire un porta di ingresso o di uscita di un’infezione HCV);
c) lo stato di immunocompromissione, cioè un indebolimento delle difese immunitarie dell’organismo, causato per esempio dalla concomitanza di altre patologie, dallo stato di trapiantato etc;
d) l’infezione da HIV;
e) la presenza di lesioni genitali (causate per esempio dall’herpes genitale);
f) il ciclo mestruale.



Epatite C, approvato in Italia l’uso della molecola che elimina la malattia

Il trattamento a base di Sofosbuvir consentirà di curare la maggioranza dei pazienti eradicando il virus anche nelle forme avanzate che portano al trapianto. Dal Ministero della Salute un fondo da 1,5 mld di euro in due anni per il «superfarmaco»
Approvato anche in Italia, con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il nuovo trattamento per l’epatite C a base di Sofosbuvir, molecola in grado di eradicare il virus in poche settimane.  

Come spiega il professor Mario Rizzetto, Docente di Gastroenterologia presso l’Università di Torino e Direttore della Struttura Complessa S.C Gastroenterologia della Città della Salute e della Scienza di Torino, «considerata la sua elevata efficacia e sicurezza, il farmaco consentirà di curare la maggioranza dei pazienti con epatite cronica C, eradicando il virus anche nelle forme avanzate che portano al trapianto, evitando la temuta reinfezione dell’innesto epatico che vanifica troppo spesso il successo del trapianto stesso».  

Unico neo il prezzo: al sistema sanitario costerà 35-40 mila. Per chi lo comprerà in farmacia, senza dover aspettare, quasi 75 mila euro.  

La malattia  
L’epatite C è una malattia del fegato causata dal virus HCV. La sua presenza è in grado di scatenare una reazione immunitaria che, a lungo termine, danneggia in maniera irreversibile l’organo. Un’infiammazione generalizzata capace di distruggere le cellule del fegato. Un processo che con il passare del tempo porta ad una sempre più ridotta funzionalità epatica. Le conseguenze sono facilmente intuibili: il virus dell ’epatite C è la causa principale delle cirrosi e dei tumori al fegato. Non solo, in Europa e negli Stati Uniti la patologia è la causa principale di ricorso al trapianto di fegato.  

I numeri  
In Italia è difficile fare una stima delle persone affette. I dati sono incerti per una mancanza di campagne di screening. Alcune statistiche affermano si tratti di 800 mila persone. Il dato certo è che oggi i malati da trattare subito sono 300 mila. Numeri importanti fortunatamente in diminuzione. Oggi, grazie alla prevenzione, l’ondata di nuove infezioni si è sensibilmente ridotta. Purtroppo però la malattia, essendo spesso priva di sintomi, continua silente per anni fino allo stato di cirrosi. Oggi, purtroppo, di epatite C si muore ancora. Molte persone, proprio per l’assenza di sintomi, scoprono di aver contratto l’infezione quando il danno al fegato è già importante. E’ questo il vero problema legato alla patologia.  

Il prezzo  
La ricerca ha fatto passi da gigante e Sofosbuvir è il primo di una lunga serie di farmaci che sbarcheranno sul mercato per eradicare la malattia. Sino ad oggi sono rimasti incerti i fondi per garantire l’accesso a tutti. «Nell’attesa delle risorse aggiuntive necessarie a garantire un accesso universale alla terapia, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha indicato i criteri di priorità di assegnazione della cura per i pazienti con patologia più grave» spiega Rizzetto. Secondo stime molto approssimative sarebbero 300 mila le persone Ma questi ultimi rappresentano solo la punta dell’iceberg. Idealmente le persone da trattare sarebbero tutte quelle positive al virus dell’epatite C. 

L’intervento del Governo  
Curare precocemente significherebbe sradicare il virus prima che danneggi irreversibilmente il fegato. Questo, sul lungo periodo, permetterebbe di risparmiare notevolmente poiché la persona non andrà più incontro a cirrosi e trapianto di fegato. Ed è proprio a questo che devono aver pensato al Ministero. La Lorenzin ha infatti da poco formulato un emendamento nella legge di Stabilità per mettere a disposizione dei cittadini il medicinale gratuitamente. Costo? un miliardo e mezzo in due anni (750 milioni l’anno). I soldi utilizzati sono quelli che verrebbero risparmiati grazie alla eliminazione della malattia.  




Epatite C, per curarla arriva una pillola Costerà mille euro al giorno per 3 mesi

Secondo gli studi può portare a percentuali molto alte di guarigioni e quindi a un risparmio sulle cure. Arriva anche l’ok della Food and Drug Administration
Una pillola da mille dollari da prendere una sola volta al giorno per 12 settimane. È questa la rivoluzionaria cura per l’epatite C che utilizza la molecola sofosbuvir e approvata definitivamente venerdì sera dalla Food and Drug Administration (Fda), che ha un costo notevole, circa 84 mila dollari per terapia, ma che può portare a percentuali molto alte di guarigioni e quindi rappresentare in definitiva un risparmio rispetto alle cure attuali, protratte nel tempo. 

«È una notizia storica, una rivoluzione nella terapia di questa malattia che causa nel nostro Paese 10.000 morti l’anno», ha commentato Antonio Gasbarrini, professore di gastroenterologia all’Università Cattolica di Roma. Il farmaco è infatti «il primo antivirale con azione diretta che unisce una grande efficacia a bassi effetti collaterali - spiega lo studioso - e che potrà essere utilizzato anche nei malati più gravi per diminuire la progressione della malattia». 

L’epatite C è una malattia infettiva del fegato causata dal virus Hcv e trasmessa principalmente per contatto diretto con sangue infetto. Può risolversi in poche settimane oppure portare alla cirrosi e al cancro al fegato e colpisce ogni anno 3-4 milioni di persone in tutto il mondo. Al momento ci sono circa 150 milioni di malati cronici. In Italia sono circa un milione le persone infettate dall’Hcv, ma appena l’1,5% si cura. Per l’epatite C le iniezioni di interferone, che ha problemi di tollerabilità e resistenza al trattamento, e le pillole di ribavirina rappresentano la terapia di riferimento. La sofosbuvir può essere invece utilizzata da sola per combattere almeno un sottotipo di virus, il genotipo 2. 

L’approvazione definitiva negli Usa del farmaco a base di sofosbuvir era molto attesa (in Europa dovrebbe essere approvata a inizio 2014) e segue quella avvenuta a fine novembre di un’altra pillola, a base della molecola simeprevir, utilizzabile (con l’interferone e la ribavirina) contro il genotipo 1 dell’epatite C che rappresenta il 50% di tutte le infezioni. 

Secondo gli esperti gli scenari che si aprono con queste nuove molecole sono davvero rivoluzionari: «da tassi di guarigione dall’infezione con il virus dell’epatite C oggi abbastanza modesti (del 45%) si arriverà a tassi di efficacia dell’80-95%«, con trattamenti di breve durata e pochi effetti collaterali, secondo quanto spiegato da Massimo Colombo dell’università di Milano. L’obiettivo sarà eradicare non solo il virus ma diminuire la progressione della malattia e dunque la mortalità. A fronte di questo si dovrà preventivare un enorme esborso di denaro per la sanità pubblica. Ma secondo i primi scenari tracciati dagli economisti sanitari del Ceis di Tor Vergata, i risparmi potrebbero andare da un minimo di 11 milioni di euro dal 2015 ad un massimo di 44 milioni di euro nei successivi 15 anni. 




Storia naturale (infezione acuta e cronica)

L'epatite C è caratterizzata da una elevata percentuale di forme asintomatiche.

Clinicamente nella maggioranza dei casi l'inizio della malattia è asintomatico, infatti solo pochissimi pazienti affetti da epatite cronica C ricordano l'esordio dell'infezione, mentre la maggioranza di essi non sa di essere infetta e solo per caso viene a conoscenza del proprio stato. L'episodio acuto clinicamente evidente, che come detto non è molto frequente, si può caratterizzare dalla comparsa di ittero, dolore in fianco destro, sensazione di malessere e stanchezza oltre ad un importante aumento delle transaminasi.

I sintomi si possono presentare prevalentemente dopo due o tre mesi dall'infezione, in corrispondenza del picco delle transaminasi e della comparsa dell'HCV-RNA.

Dopo l'episodio acuto in alcuni casi si verifica la guarigione con la scomparsa di HCV-RNA e la normalizzazione delle transaminasi. In altri casi dopo una apparente remissione che dura alcuni giorni o alcune settimane si osserva di nuovo un aumento delle transaminasi.

Il criterio fondamentale per considerare il soggetto guarito è la persistente negativizzazione di HCV-RNA per almeno 6 mesi-1 anno. Nei soggetti guariti la presenza di anticorpi Anti-HCV può persistere per anni o anche per sempre.

Negli altri casi, superato l'episodio acuto vi è l'evoluzione verso la fase cronica, il soggetto resta HCV-RNA positivo e le transaminasi possono essere fluttuanti o persistentemente normali.

Dopo l'episodio acuto in alcuni casi si verifica la guarigione con la scomparsa di HCV-RNA e la normalizzazione delle transaminasi. In altri casi dopo una apparente remissione che dura alcuni giorni o alcune settimane si osserva di nuovo un aumento delle transaminasi. 

Il criterio fondamentale per considerare il soggetto guarito è la persistente negativizzazione di HCV-RNA per almeno 6 mesi-1 anno. Nei soggetti guariti la presenza di anticorpi Anti-HCV può persistere per anni o anche per sempre.

Negli altri casi, superato l'episodio acuto vi è l'evoluzione verso la fase cronica, il soggetto resta HCV-RNA positivo e le transaminasi possono essere fluttuanti o persistentemente normali. 

Dopo l'infezione acuta circa il 20-40% guarisce, mentre il restante 60-80% evolve verso l'epatite cronica.

L'epatite cronica da HCV molto spesso è accompagnata da una sintomatologia aspecifica comprendente, con elevata frequenza, uno stato di fatica e malessere persistenti indipendenti dalla severità del danno epatico
Molti pazienti con epatite C lamentano anche dolori muscolari, annebbiamento mentale e turbe della memoria che incidono, in vario grado, sulla quotidianità.
Viene riportata in alcuni casi anche la presenza di depressione e ansia generalmente non attribuibili al modo di acquisizione dell'infezione o alla gravità del danno epatico.

Solo recentemente si sta cominciando ad attribuire una parziale interpretazione fisiopatologica a questi sintomi, ipotizzando che ci sia un meccanismo virale diretto nella determinazione dei disturbi neuropsichici.

Il 20-35% dei pazienti con epatite cronica nel giro di 10-30 anni progredisce verso la cirrosi e la progressione può essere favorita da alcuni fattori di rischio come l'obesità, l'età, la steatosi epatica, il consumo di alcol. 








Le complicanze dell'infezione da HCV

Dalla fibrosi alla cirrosiI dati epidemiologici indicano che l'HCV è responsabile del 40-50% dei casi di cirrosi epatica e che l'evoluzione dell'epatite a cirrosi interessa il 20-35% dei soggetti con HCV.

Mediamente la cirrosi epatica si sviluppa in 25-30 anni ma in particolari gruppi di pazienti, per esempio i tossicodipendenti, gli alcolisti o le persone con infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV) o con altre patologie come l'obesità, il disturbo può presentarsi molto più precocemente. 
L'evoluzione a cirrosi passa inizialmente per i vari stadi di fibrosi (le cellule epatiche distrutte dal virus vengono sostituite da un tessuto di cicatrizzazione) con la comparsa di noduli e di cicatrici che determinano la perdita progressiva della funzionalità del fegato. Il danno si determina nel caso in cui non si rimuova la causa alla base del problema epatico.

Tra queste la formazione di varici nell'esofago e nello stomaco, che rompendosi causano emorragie; l'ingrossamento della milza, che condiziona anemia, calo dei globuli bianchi e delle piastrine); l'ittero, per l'accumulo nel sangue del pigmento bilirubina, con ingiallimento della cute e delle sclere; l'accumulo di liquido nell'addome (ascite) con eventuale infezione dello stesso. Inoltre le sostanze tossiche che dovrebbero essere smaltite dal fegato possono essere riversate direttamente nel sangue e arrivare al cervello, determinandone il cattivo funzionamento con uno stato confusionale che può arrivare fino al coma (encefalopatia epatica).

Tra le varie complicanze può presentarsi anche una riduzione della quantità di urina nell'arco della giornata con un concomitante aumento della creatinina e dell'azotemia a causa di un problema renale. (mettere link cirrosi)

Il tumore epatico primitivo
Il tumore epatico (carcinoma epatocellulare) è la complicanza più grave dell'infezione cronica da HCV e si presenta nel 3-5% dei soggetti affetti da cirrosi epatica. Diversi studi hanno dimostrato un rapporto diretto tra l'infezione da HCV e il tumore, con un aumento del rischio da 20 a oltre 40 volte.

Secondo i dati epidemiologici ogni anno dall'1% al 4% dei pazienti con infezione da HCV (ma sempre cirrotici!!) si ammala di tumore epatico. In Italia l'epatocarcinoma costituisce la settima causa di morte per tumore, con circa 5.000 decessi l'anno.

Verso il trapiantoQuando l'epatite cronica da HCV è arrivata allo stadio avanzato di cirrosi e sono presenti le complicanze di cui si è parlato, appare opportuno iniziare una valutazione per eventuale inserimento del paziente in lista d'attesa per trapianto epatico.

Attualmente in Europa e negli Stati Uniti l'epatite C è la causa principale di epatite cronica e di trapianto di fegato. Nei Paesi occidentali l'HCV è responsabile del 20% di tutti i casi di infezione virale acuta, del 70% di quella cronica, del 40% delle cirrosi allo stadio terminale e del 30-40% dei trapianti epatici.

Ricorrenza di malattia post trapianto 
Dopo trapianto di fegato per cirrosi epatica HCV correlata, la ricomparsa dell'infezione è universale (cioè nel 100% dei casi), con lo sviluppo di epatite nella maggior parte dei pazienti. Anche se il 30%-40% dei pazienti sviluppa un danno epatico lieve, tra il 10% ed il 30% può sviluppare malattia progressiva che può portare fino alla cirrosi nell'arco di 5 anni.

La storia naturale della recidiva di HCV è molto variabile, ma porta ad un più basso tasso di sopravvivenza dopo il trapianto rispetto alle altre cause (cirrosi alcolica, forme autoimmuni…).

Purtroppo la progressione dell'epatite C è accelerata nel post trapianto dai farmaci immunosoppressori che sono indispensabili per evitare il rigetto dell'organo, ma che possono facilitare la replicazione attiva del virus.

Diverse variabili, tra cui l'età del donatore, il grado di immunosoppressione, la carica virale prima del trapianto o nell'immediato post-trapianto, il tempo di ischemia prolungato dell'organo del donatore una volta che viene espiantato, la coinfezione con citomegalovirus, la coinfezione con HIV, l'infezione da genotipo 1b sono coinvolti nella determinazione del danno post-trapianto.

E' quindi indispensabile effettuare dei controlli periodici con esami del sangue e anche con le biopsie di routine così da poter intervenire il prima possibile nel caso di possibili complicanze. Ciò che resta controverso sono i fattori associati con la progressione della fibrosi e come questi potrebbero eventualmente essere modificati per migliorare l'esito della ricorrenze dell'epatite C.

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